L'OPERA MAGAZINE

Sabino Lenoci

Londra: una curiosità stimolante, il “kolossal” verdiano con il supporto delle più moderne tecnologie visive all’Earls Court, davanti a un numerosissimo pubblico formato da molti giovani.

Aida “Virtuale”

L’Opera del Nostro Futuro?

Avvicinare un più vasto pubblico al mondo della lirica è sempre stato un pretesto per dare la stura a operazioni commerciali che poco hanno a che fare con la musica cosiddetta colta. I megaconcerti di famosi artisti in grandi spazi come gli stadi, spesso vengono accompagnati da dichiarazioni d’intenti dove viene sbandierata l’intenzione di fornire una fruizione più estesa delle emozioni che senza ombra di dubbio arie e romanze celebri portano all’ascoltatore, magari un po’ a digiuno di tutto il rimanente repertorio lirico.

I puristi gridano allo scandalo (molto spesso a ragione!) convinti che l’interpretazione di un “estratto” conosciuto come il brindisi de La Traviata o il “Nessun dorma” della Turandot in definitiva non rechi nulla alla causa del reclutamento di nuovi appassionati.

Il caso di Operama, l’organizzazione creata dal maestro Giuseppe Raffa, è sostanzialmente diverso, il programmare “eventi musicali” in grandi spazi come i Palazzi dello Sport comporta l’avvicinamento da parte di un pubblico eterogeneo ad uno spettacolo intero d’opera. Naturalmente i titoli proposti sono i più gettonati come Aida oppure Carmen, che ben si prestano ad allestimenti di grande impatto visivo (tra l’altro il capolavoro di Bizet sarà la prossima produzione a cui Raffa sta lavorando per iniziare la tournée nelle grandi arene spagnole; è prevista la “prima” nella Plaza de Toros di Lisbona.

La particolarità di questa Aida sta nell’utilizzo di una nuova concezione visiva riguardante l’allestimento che, appunto per la maestosità e lo sfarzo che necessitano questo genere di operazioni, è spesso reso difficoltoso; in questo caso ci si è concentrati nella “virtualità” scenografica; l’elemento centrale dell’allestimento diventa così la proiezione sul palcoscenico di variopinti e colossali “effetti” scenici di grande impatto; il concetto di proiezione, già molto usato anche nei teatri tradizionali da parte di molti registi, viene completato dal “movimento” di ogni singolo soggetto. Il bravo il direttore, responsabile dell’intero palcoscenico sia per quanto riguarda i movimenti degli artisti, sia per quello delle proiezioni, è stato ben coadiuvato da Antonio Mastromattei per la struttura fissa (due scalinate laterali a “piramide”) su un fondo bianco su cui Miccichè si è sbizzarrito a proiettare nuvole, geroglifici, sfinge, sponde del Nilo rigogliose per la presenza di alte felci, ma anche albe, tramonti ed un sole fiammeggiante che con i suoi raggi sonda inonda tutto il Palazzetto del sport e i suoi spettatori per la scena del trionfo; il tutto in un continuo e lento movimento in sintonia con le note musicali che scaturiscono dalla fossa orchestrale.

La produzione da noi vista all’Earls Court di Londra (la tournée ha toccato con grande successo , parecchie capitali europee come Amsterdam, Lisbona, Siviglia, Stoccolma, Oslo, Helsinki, Copenaghen, Zurigo e si è spinta perfino oltre oceano a Buenos Aires) è la stessa che l’anno scorso era stata annunciata come grande evento a Milano (Forum di Assago) e Roma (PalaEur) ma che per i soliti motivi, burocratici italiani (ci dicono gli organizzatori) non si è potuto realizzare.

A dir il vero ci eravamo recati a Londra un po’ scettici, ma alla luce dei fatti siamo rimasti conquistati (anche se continuiamo a preferire l’opera nei luoghi tradizionali) dall’impatto visivo; tutto sommato, nonostante i necessari microfoni e altoparlanti di cui gli artisti e la fossa orchestrale erano dotati, il risultato è stato più che positivo.

Nel ruolo protagonistico si alternavano una corretta Wilhelmenia Fernandez e la sicura Anna Valdetarra mentre nei panni di Radames facevano bella figura Dennis O’Neill e Antonio Ordonez. Di rilievo l’Amneris di Malgorzata Walewska (Roberta Mattelli si alternava nelle altre recite) e il Ramfis di Luigi Roni, così come il Re di Giancarlo Boldrini e l’Amonasro di Walter Donati.

Sul podio dell’opera verdiana si alternavano lo stesso direttore di “Operama” Giuseppe Raffa e Emir Saul che, alla recita a cui abbiamo assistito, ha guidato la Royal Philharmonic Concert Orchestra, portando la serata in porto dignitosamente. Dava il suo apporto allo spettacolo, il Philharmonia Chorus diretti dal maestro Robert Dean.

Da segnalare i costumi di Ruggero Vitrani (che purtroppo si perdevano nei molteplici e accecanti colori delle proiezioni) e l’apporto luci di Denis Guerette.

Grande affluenza di pubblico (moltissimi giovani) che affollava il grande spazio londinese manifestando il proprio consenso con calorosissimi applausi, anche a scena aperta, e salutando tutti i protagonisti con ovazioni alla fine dello spettacolo.

Ci siamo convinti che questa nuova concezione di rappresentare l’opera associata alla “computerizzazione del nostro futuri (Internet insegna!), può effettivamente contribuire ad avvicinare alla musica lirica una fetta di pubblico che, altrimenti, resta escluso dai Teatri tradizionali.